Il chitosano
La chitina glucano è un copolimero costituito da polisaccaridi di chitina e β-1,3-glucano. La chitina-glucano si ottiene da funghi come l’Aspergillus Niger. Il processo per la produzione della chitina-glucano si basa sulla digestione del micelio di questo fungo, sulla purificazione in mezzo acquoso e l’essiccamento. Il chitosano è ottenuto a partire dalla chitina (poli N-acetil-D-glucosammina).
Questo composto, il secondo più rappresentato in natura dopo la cellulosa, è alla base dei carapaci dei crostacei, dell’esoscheletro degli insetti e le pareti di alcuni miceti. È bene sottolineare che per l’utilizzo in enologia, è utilizzabile esclusivamente chitosano derivante da origine fungina. Risoluzione OIV-Oeno 368-2009. La produzione di chitosano dalla chitina avviene attraverso deacetilazione alcalina della chitina. Per ottenerlo, la chitina deve essere sottoposta al trattamento con alcali concentrati per diverse ore (40–45% idrossido di sodio, 120°C, 1–3 ore). Poiché questa N-deacetilazione non è quasi mai completa, il chitosano è considerato un derivato parzialmente N-deacetilato di chitina. Di conseguenza, non esiste una netta distinzione tra chitina e chitosano sulla base del grado di N-diacetilazione.
La sua struttura
Chimicamente, è un eteropolisaccaride policationico lineare ad alto peso molecolare costituito da due monosaccaridi, la D-glucosammina ed il suo omologo deacetilato legati tramite legame glicosidico β (1→4). Il contenuto dei due monosaccaridi nel chitosano conferisce a questa molecola differenti gradi di deacetilazione (75-95%), peso molecolare (20-2000 kDa), viscosità e valori di pKa.
Per questo esistono diversi preparati commerciali caratterizzati da vari gradi di purezza, peso molecolare e distribuzione, lunghezze delle catene, gradi di deacetilazione, densità di carica e distribuzione, forme saline, viscosità e valori di ritenzione idrica. Queste proprietà influenzano notevolmente le sue caratteristiche fisico-chimiche, che a loro volta governano quasi tutte le sue applicazioni. Pertanto, la scelta del grado di purezza più adatto al nostro scopo è correlato all’applicazione prevista. Il chitosano ha una pKa di circa 6.3 ed è insolubile in acqua, in mezzi alcalini ed in solventi organici. Tuttavia, i suoi sali idrosolubili possono formarsi dalla neutralizzazione con acidi organici e non organici. La solubilità pH dipendente è attribuita al suo gruppo amminico che diviene protonato a pH inferiori a 6. Il chitosano possiede tre tipi di gruppi funzionali attivi: il gruppo amminico in posizione C-2 di ogni unità deacetilata e gruppi idrossilici in posizione C-6 e C-3. Questi, nelle diverse condizioni chimiche permettono a questa molecola di reagire con diverse specie chimiche presenti nel mezzo.
Le attività del chitosano
Sono diverse le attività che il chitosano può svolgere. Da un punto di vista enologico, le principali azioni possono essere racchiuse in 4 classi: antimicrobica, chelante, chiarificante ed antiossidante. Passerò in scrupolosa rassegna le attività cercando di evidenziarne i meccanismi di azione per meglio interpretare i risultati attesi.
a. Azione antimicrobica
Chitosano e derivati del chitosano mostrano diverse modalità di azione nei confronti dei batteri Gram-positivi e Gram- negativi. Questa differenza nei meccanismi può essere attribuita alla differenza nei componentI della parete cellulare.
La parete cellulare dei batteri Gram-positivi è composta da peptidoglicano, acidi teicoici di parete legati covalentemente al peptidoglicano e acidi lipoteicoici legati alla membrana cellulare del microrganismo. Entrambi, contengono una spina dorsale anionica caricata negativamente. Gli acidi teicoici possono fornire cariche negative uniformi ad alta densità nella parete cellulare, inibendo così il passaggio di ioni attraverso la membrana.
Nel caso di batteri Gram-negativi, l’involucro cellulare è costituito da due membrane diviso da uno spazio periplasmatico comprendente un sottile strato di peptidoglicano. La composizione lipidica della membrana esterna (OM) dei batteri Gram-negativi è asimmetrica: il foglietto esterno contiene lipopolisaccaride, mentre il foglietto interno comprende una varietà di fosfolipidi. La superficie dei batteri Gram-negativi comprende cariche negative dai gruppi fosfato e pirofosfato dei lipopolisaccaridi nello strato esterno della membrana.
Esistono 3 modelli principali che cercano di spiegare la modalità di azione del chitosano:
Interazioni elettrostatiche. Il primo, e più ampiamente accettato, modello riguarda le interazioni elettrostatiche tra chitosano e superficie anionica di batteri Gram-positivi e Gram-negativi, ciò porta alla rottura della membrana cellulare. Nei batteri Gram-positivi, il chitosano caricato positivamente può interagire elettrostaticamente con l’acido teicoico caricato negativamente nei peptidoglicani. CIò porta alla distruzione della membrana cellulare, perdita di componenti intracellulari e ingresso del chitosano all’interno della cellula microbica. Nei batteri Gram-negativi, le alte cariche negative date da LPS possono essere neutralizzate dalle cariche positive del chitosano, con conseguente disgregazione della membrana esterna, consentendo al chitosano di penetrare nella membrana cellulare e quindi portare alla morte cellulare batterica.
Interferenza di membrana. Chitosano ad alto peso molecolare, può formare un film polimerico sulla superficie cellulare causando il blocco dello scambio di nutrienti attraverso le porine causando la morte della cellula. Tale profilo è stato rilevato attraverso l’ispessimento delle pareti cellulari rilevato utilizzando un microscopio elettronico a scansione. Ciò mostra la formazione di strutture vescicolari sulla superficie della membrana esterna dei Gram-Negativi.
Interferenza con il DNA. Chitosani a basso peso molecolare possono penetrare nella parete cellulare per influenzare il DNA / RNA e la sintesi proteica. In alcuni studi si osserva il legame delle nanoparticelle di chitosano al DNA o RNA valutati in base alla mobilità elettroforetica degli acidi nucleici. I gruppi fosfato carichi negativamente nel DNA/RNA reagiscono con gruppi amminici caricati positivamente inibendo così la biosintesi proteica.
L’attività del chitosano si riscontra anche sui funghi e lieviti. La parete cellulare fungina è composta principalmente da chitina che protegge la membrana cellulare, uno strato di
β D-glucano al di fuori delle fibre di chitina, e mannoproteine o mannano come strato esterno della parete cellulare. Il chitosano può legarsi ai mannani fosforilati, portando alla rottura della membrana plasmatica e perdita di materiali intracellulari. Come per i batteri, si è recentemente scoperto che il chitosano può anche influenzare l’espressione del DNA / RNA e la biosintesi proteica in funghi.
b. Azione chelante
Chitosano, chitina e chitina glucano idrolizzato di origine fungina può ridurre i livelli di ferro, rame di metalli pesanti (Pb, Cd) e micotossine (ocratossina A) migliorando in tal modo la sicurezza e la qualità del vino. Trattamenti di vini con dosi crescenti di questi polisaccaridi (fino a 2 g L-1 per i metalli e 5 g L-1 per OTA) hanno dato riduzioni di Fe (32-91%), Cd (11-57%), Pb (33-84%) e OTA (26.1–83.4%). Il grado di polimerizzazione, deacetilazione, distribuzione dei gruppi acetilici e amminici lungo la catena polimerica oltre al pH del mezzo, sono di cruciale importanza per l’interazione tra chitosano e contaminanti.
c. Azione chiarificante
Grazie alle sue proprietà fisico-chimiche, il chitosano può essere utilizzato come agente per la rimozione di sostanze proteiche. L’aggiunta di chitosano fungino a fini chiarificanti è stata autorizzata dall’organizzazione internazionale del vino (OIV, 2012) per ridurre l’instabilità proteica. La dose massima raccomandata è di 100 g/hl. Diverse indagini hanno dimostrato un effetto positivo del chitosano sulla stabilità a caldo nei vini bianchi, prevenendone la formazione di intorbidamento.
Tra i parametri che maggiormente influenzano l’attività, si possono annoverare: il grado di deacetilazione che incide sulla carica e il peso molecolare del chitosano. Il chitosano con il più alto grado di deacetilazione ha mostrato la migliore capacità di flocculazione proteica, evidenziando il ruolo chiave della presenza di gruppi amminici liberi nella catena polisaccaridica. Il comportamento del chitosano è influenzato anche dal pH del substrato. I modelli che meglio spiegano questa attività sono da ricondurre a:
Interazione con le pectine. Queste sostanze si trovano al pH del vino con una carica netta negativa. Queste, agendo come colloidi protettori, inibiscono la flocculazione dei complessi proteici. L’azione del chitosano riguarda l’interazione con le sostanze pectiche, conseguente loro allontanamento e promozione della formazione e precipitazione del flocculo proteico.
Interazione con i polifenoli. I polifenoli sono i principali cofattori riguardo la formazione della casse proteica. Essi agiscono come agente flocculante una volta che la proteina non si trova più sotto forma tridimensionale. Una volta denaturata la proteina, i polifenoli interagiscono con le parti non polari delle proteine, inibendo in questo modo il ritorno ad una struttura tridimensionali. Si creano centri di intorbidamento. Il chitosano, avendo carica netta positiva interagisce con tannini favorendo la possibilità di ricostituzione proteico.
Chitina con chitinasi IV. Evidenze scientifiche, dimostrano una forte attività della chitina verso la chitinasi di classe IV (tra le proteine principalmente implicate nella formazione di torbido nei vini) con un rapporto migliore della riduzione del torbido rispetto a quello con la bentonite. In questi studi si evidenzia la selettività della chitina contro queste classi. Il meccanismo di interazione è basato sull’interazione della chitinasi, soprattutto nei suoi domini ricchi in cisteina, con la chitina e chitosano che possono essere rimossi visto la loro natura di polisaccaridi insolubili.
d. Azione antiossidante
I dati a disposizione mostrano che l’effetto antiossidante è dose-dipendente e inversamente proporzionale al peso molecolare. Si notano effetti più elevati alla massima concentrazione (1 g/L) e al minor peso molecolare. L’azione antiradicalica non è attribuita esclusivamente al gruppo amminico. Ciò è risultato da test svolti sostituendo i gruppi idrossilici in C6 con carbossimetilici. Si osserva dopo la sostituzione, una riduzione della capacità antiradicalica, concludendo che anche il C6-OH è implicato nel sopprimere i radicali HO·. Il meccanismo è dato dall’interazione dei radicali con gli atomi di idrogeno nel chitosano, formando un radicale macromolecolare più stabile. Le fonti di atomi H di chitosano derivano dal NH2 sul C2 e OH di C3 e C6.
Alcuni studi che riguardano la prevenzione dell’imbrunimento mediante la riduzione del contenuto di polifenoli da parte del chitosano nel vino. Secondo i risultati, il chitosano ha dimostrato un’efficace capacità di adsorbimento nei confronti dei composti fenolici, i principali composti sensibili all’ossidazione. L’efficienza del chitosano è risultata inferiore per flavani e proantociani e simile o addirittura superiore per gli acidi idrossicinnamici. Inoltre, i risultati ottenuti hanno mostrato un’influenza positiva della presenza di gruppi amminici, suggerendo un’interazione tra gruppo funzionale di chitosano e composti fenolici attraverso interazioni deboli come le forze di Van der Waals o il legame idrogeno. Inoltre, sembrano essersi formati legami ionici tra gruppi amminici liberi e gruppi carbossilici di polifenoli.
I principali meccanismi impiegati alla base dell’attività antiossidante sono:
1) Chelazione dei metalli,
2) Eliminazione di H2O2,
3) Attacco diretto del radicale idrossile,
4) Adsorbimento degli acidi fenolici.
Il chitosano in cantina
Il principale utilizzo in cantina del chitosano riguarda la sua attività antimicrobica sfruttabile in diverse fasi della produzione enologica. Trova applicazione fondamentale nel limitare il fastidioso danno derivante dallo sviluppo di lieviti Brettanomyces Bruxellensis che portano alla formazione di etil fenoli. Questi composti, se non mantenuti sotto controllo e ben al di sotto della loro soglia di percezione, apportano al vino nefasti odori di sudore di cavallo, stalla ecc. La loro soglia di percezione in vino rosso è di circa 600 µg/L per l’etil fenolo e 140 µg/L per l’etil guaiacolo. Il chitosano si inserisce perfettamente in una strategia di protezione durante alcune fasi nelle quali l’utilizzo della solforosa non è auspicabile. Infatti, l’anidride solforosa svolge in maniera ottimale la funzione di protezione contro questi lieviti; tuttavia, il suo utilizzo in alcune fasi può andare a scapito della qualità del prodotto. Inoltre, l’approccio enologico sempre più consapevole cerca di diminuire ed evitare un largo uso di solfiti. Per questo il chitosano trova applicazione in diversi step tra cui:
- Vini rossi post FML ed affinamento in legno. In questa fase, nel quale l’utilizzo della solforosa andrebbe ad inficiare sulla polimerizzazione ponte acetaldeide per la stabilizzazione del colore, il chitosano presenta un’ottima protezione alternativa per mantenere sotto controllo eventuali attacchi microbici.
- Vini bianchi in fase prefermentativa. L’applicazione di chitosano in pre-fermentazione permette di ottenere una pulizia microbiologica maggiore, permettendo al contempo la possibilità per l’enologo di valutare anche l’iperossidazione.
- Vini rossi e bianchi per macerazioni pre-fermentative microbiologicamente “pulite” e con limitato apporto di solforosa.
Oltre che sui lieviti, come esplicato precedentemente, il chitosano ha un’azione inibente anche verso i batteri lattici. Ciò fa di questo coadiuvante un alleato dell’enologo nel caso delle basi spumante dove si vuole evitare la scomparsa del malico.
- Vini per basi spumante, laddove si vuole evitare fermentazioni lattiche mantenendo il contenuto in solfiti il più basso possibile.
Oltre alla sopra citata attività antimicrobica, un suo fondamentale utilizzo è quello di chelante verso i metalli e di adsorbente per l’ocratossina-A.
Al fine di migliorare il suo utilizzo, data la sua insolubilità, è efficace mantenere una continua sospensione amplificandone la possibilità di azione. Per lo stesso motivo, a seguito del trattamento, un travaso per allontanare il precipitato è necessario.
Per concludere, il chitosano trova ampi spazi di applicazione in cantina soprattutto se inserito in un piano strategico che mira ad ottimizzare le diverse pratiche enologiche. Come per altri coadiuvanti, il suo sapiente utilizzo in cooperazione con altri, ne esalta l’efficacia e permette di arrivare all’obbiettivo enologico posto dall’enologo.
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